“Noi ce la stiamo mettendo tutta. siamo semplicemente docenti
che svolgono il proprio dovere. Tra i compiti nostri si pone la necessità di
informare:
la scuola (pubblica) sta chiudendo.” Questo il
messaggio con il quale,un gruppo che si firma Docenti in difesa della scuola
pubblica, sta veicolando una lettera per descrivere non solo ai genitori degli
studenti, ma anche al resto dell'opinione pubblica, la situazione attuale nella
quale stanno svolgendo la propria professione.
LA SCUOLA (PUBBLICA) STA CHIUDENDO
Signore e signori di tutta Italia, genitrici e
genitori, attenzione! Questi potrebbero essere gli ultimi mesi, gli ultimi
giorni della scuola pubblica, libera e democratica.
È arrivato il momento di esporsi, perché oggi il
silenzio è connivenza con ministri e governi che minano alla base lo Stato
sociale e l’apparato culturale del Paese per creare un esercito di marionette
senza cervello, senza pensiero critico, senza capacità di scelta. Per scegliere
consapevolmente, però, bisogna essere informati; è questo che cerchiamo di
fare, informarVi, visto che TV e giornali ormai si occupano d’altro, troppo
impegnati ad elogiare il Governo o a fare da portavoce di questo o quel
partito. La scuola pubblica negli ultimi anni è stata costantemente e colpevolmente
impoverita. I 143.000 tagli Tremonti-Gelmini, confermati dal ministro Profumo,
hanno devastato la scuola italiana, impedendo l’assunzione di tutti i precari
(come previsto dalla legge 206 del 2006) e imponendo la formazione di classi di
30, 35 o anche 40 alunni. Un genitore attento comprende, senza bisogno di
ulteriori spiegazioni, la difficoltà degli insegnanti di fare lezione e di
prestare la dovuta attenzione a ciascun allievo, in una situazione così
difficile.
La continuità didattica è gravemente messa a
rischio dalla presenza massiccia e costante del precariato che rappresenta una
perpetua reiterazione dell’illegalità di Stato: i precari, vincitori di
concorso Siss e plurititolati, sono sfruttati e poi licenziati alla fine di
ogni anno scolastico (perlopiù a fine Giugno), per poi essere nuovamente
assunti nei primi mesi dell’anno successivo in un’altra istituzione scolastica,
interrompendo in questo modo il progetto educativo intrapreso. La spending
review del Governo Monti (Art.14 comma 17) prevede che gli insegnanti risultati
in esubero dopo la riforma Gelmini siano assegnati per la copertura delle
supplenze, anche quando il docente non sia in possesso della relativa
abilitazione, inaugurando, quindi, una scuola in cui tutti possono insegnare
tutto, una scuola che disprezza il merito, l’esperienza, le competenze e i
titoli acquisiti in anni di studio e di lavoro.
È un paese strano, l’Italia, un paese in cui si
parla continuamente di meritocrazia ma si tagliano fondi all’istruzione senza
ritegno e senza opposizione alcuna (né all’interno del Parlamento né tantomeno
nella società civile); un paese in cui i Ministri dell’Istruzione, e non solo
loro, hanno dichiarato guerra alla scuola pubblica, mentre quella privata è
profumatamente sovvenzionata, al contrario di quanto impone l’Art.33 della
Costituzione italiana “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed
istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
L’attacco decisivo, tuttavia, viene sferzato dal
ministro Profumo, e da tutti i partiti che appoggiano questo Governo, con la
proposta e l’imminente approvazione della legge 953, anche detta ex Aprea
(Valentina Aprea è stata sottosegretario del Ministero dell’Istruzione
nell’ultimo governo Berlusconi) che prevede, in sostanza, la quasi totale
privatizzazione della scuola pubblica. Scarseggiando sempre più i finanziamenti
dello Stato, gli Istituti scolastici riceveranno in alternativa contributi
economici da parte di soggetti esterni, pubblici e privati (le aziende),
associazioni di genitori e fondazioni. Le conseguenze sono palesi e gravissime.
È chiaro che il soggetto, sia esso un’azienda o un gruppo di genitori
benestanti, che “dona” denaro alla scuola, vorrà in cambio prendere parte alle
decisioni relative al curricolo, all’organizzazione scolastica, all’acquisto di
materiale didattico, persino all’assunzione del personale. In questo modo viene
meno il fine educativo dell’istituzione scuola, viene violatala libertà di
insegnamento, principio sacro che garantisce l’esistenza di una scuola democratica,
che sia di tutti e per tutti; una scuola per mezzo della quale la Repubblica
italiana, secondo quanto prescritto dall’Art.3 della Costituzione, possa
“rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto
la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana …” . Ancor più grave, se si può, è un’altra conseguenza
inevitabile: le scuole italiane, non avendo fondi statali, non saranno tutte
uguali; ci saranno le scuole ricche (poche!) e quelle povere, le scuole dei
ricchi e quelle dei poveri: le prime superaccessoriate, con laboratori,
palestre, insegnanti di ruolo che possano garantire la continuità didattica (ma
scelti da chi? Secondo quali criteri?); le altre prive anche del necessario, ubicate
in strutture fatiscenti, nelle quali le classi pollaio saranno la norma. Questo
è immorale, indegno di un paese che voglia ancora definirsi civile. Una scuola
pubblica che sia veramente tale deve dare a tutti gli allievi gli strumenti
culturali necessari per affrontare la vita e le medesime possibilità di
successo, facendo eventualmente le dovute differenze di merito, non certo di
censo o di estrazione sociale. Ancora, la ex Aprea concede ai Dirigenti
scolastici un potere eccessivo che mette a rischio l’organizzazione collegiale
dell’attività didattica. I presidi, che talvolta già oggi abusano della loro
autorità, potrebbero diventare veri e propri “capi”, comportarsi da despota,
imponendo ai docenti di “seguire le direttive” e badare a non “creare problemi”.
Il Consiglio dell’autonomia, previsto dalla legge 953, adotta il Piano
dell’offerta formativa (POF) e designa i componenti del nucleo di
autovalutazione necessariamente su proposta del Dirigente al quale viene
conferito anche il potere di gestire le risorse umane. È facile prevedere su
che base verrà effettuata la scelta del personale: non più docenti qualificati
ma amici (o amiche!), parenti, adulatori e “clienti” di ogni genere. Si
aggiunga infine che le Conferenze regionali del sistema educativo, istituite
dalle Regioni, stabiliscono i criteri per la definizione degli organici, per
l’integrazione dei disabili e per la distribuzione dell’offerta formativa. Ciò
significa che l’istruzione dei futuri cittadini italiani cadrà nelle mani, non
sempre linde e immacolate, della politica che deciderà se, quando e dove
investire, cosa insegnare, quanti docenti assegnare a ciascuna istituzione
scolastica. Provate ad immaginare a quali nefandezze potrà arrivare una cattiva
politica, magari di stampo leghista.
Allora è il momento di intervenire, tutti
insieme, poiché, ricordate, il problema non è solo dei docenti, è degli
studenti, è dei genitori, è degli Italiani tutti. Uno Stato civile, specie una
democrazia, si basa sull’istruzione e sul livello culturale dei suoi cittadini
perché, si sa, un paese ignorante è un paese povero e poco libero.
Ringraziando per l’attenzione, porgiamo a tutti
Voi distinti saluti.
Docenti in difesa della Scuola Pubblica.
Roma, 3 ottobre 2012
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